Maschera Chi

Chissà quanto fondamentale sia, per la qualità della nostra vita, riconoscersi. Già, riconoscersi: tra la folla, in una sala d’attesa, in un corridoio buio, sul divano con il proprio compagno, davanti allo specchio.

È quella maschera a scegliere noi o noi a scegliere quella maschera?

È la maschera ad essere negativa o l’attitudine di chi la indossa?

Chissà se ce lo domandiamo mai quanto sia essenziale riconoscere la propria natura, positiva o negativa che sia, e accoglierla. Sì, proprio così, accoglierla: farla fluire in noi, concederle spazio, farla esprimere e darci il tempo per metabolizzarla… capirla.

Una scelta consapevole o meno in merito a cosa mostrare di noi stessi, quando farlo e con chi, fa una differenza abissale. Magari non se ne accorge nessuno, ma sicuramente, a lungo andare, più o meno sensibilmente, ce ne accorgiamo noi, scelta dopo scelta o non scelta dopo non scelta.

Decidere quale maschera indossare e se indossarla può cambiare in un nano secondo il decorso del nostro destino.

Optare in maniera più o meno cosciente di esibire le nostre nudità spirituali e fisiche con qualcuno piuttosto che con qualcun altro può stravolgere, senza troppo strafare, tutta la nostra vita.

Forse è questo il motivo per cui le persone tendono sempre di più a non scegliere, a lamentarsi, a cercare le cause di un’eterna insoddisfazione al di fuori, a farsi guidare dall’esterno, da chi è sopra, da chi non si sa se esiste davvero.

Scegliere è dura: implica sforzo, coraggio, onestà verso sé stessi, autoanalisi, verità.

 “Oggi, al lavoro, scelgo di uscire con questa maschera, domani sera, a cena, ne indosserò un’altra e mentre farò sesso, possibilmente dopo cena, un’altra ancora. Quando mi sveglierò, a colazione, se sarò con lo stesso uomo con cui ho fatto sesso avrò una maschera, se mi sveglierò da sola ne avrò una diversa. Quando prenderò l’aereo per la mia prossima trasferta di lavoro indosserò una maschera, quando prenderò l’aereo per la mia prossima vacanza ne indosserò sicuramente un’altra.

Sembra la fiera dell’ipocrisia, invece, a pensarci bene, è la realtà dei fatti.

È fin troppo semplicistico dire che indossare una maschera è da ipocriti, è addirittura fin troppo riduttivo e superficiale sostenere che è un simbolo negativo.

Dai, pensiamoci bene: è un puro dato di fatto, reale appunto, azzarderei dire perfino normale indossarla, anzi, non solo indossarla, ma cambiarla esattamente come si cambia qualsiasi indumento durante la giornata.

Non è piuttosto la presenza o meno di consapevolezza su quale scegliere, quando e con chi, a rendere quella maschera positiva o negativa? E non è la stessa consapevolezza a rendere di conseguenza noi esseri umani delle persone di valore o meno?

Non ha senso costruire teorie sull’ipocrisia di chi ci circonda, se quando ci guardiamo allo specchio non ci riconosciamo o se scegliere quella maschera piuttosto che questa non ci fa differenza.

Poco importa degli altri se già il dialogo con la parte più profonda di noi ci risulta infattibile, ingestibile, insormontabile: se non siamo sinceri con noi stessi.

“È uguale”, “Mai una gioia”, “Chissà cosa cambia”, “Tutta colpa del governo”, “Sicuramente era il disegno di Dio”, “Tanto lo fanno tutti”,“Lascia perdere”, “Ringrazia che ti pagano”, “Fa tutto schifo”, “Ancora c’è tempo”.

Se scegliere consciamente fosse la prassi, vivremmo una vita consapevolmente libera: il problema è che ai giorni d’oggi saper scegliere consciamente è un lusso che pochi si concedono ed essere consapevolmente liberi implica un’autoanalisi che ci fa lavorare la mente con lo stesso sforzo di una scalata dell’Everest.

E scalare è dura un bel po’.

La superficie è la dimensione dove si sguazza più facilmente, dove si galleggia senza particolare impegno intellettivo e fisico, dove i più trovano aria per le loro teorie preconfezionate e ritrite o dove a pensarla in maniera diversaanche no! Troppo complicato.

Troppe domande, troppa analisi, troppa roba, via via.

Chi è il responsabile della qualità della nostra vita: la maschera o noi?

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Il suono del silenzio

E tu… che cosa provi dentro il tuo silenzio?

Lo ami o lo detesti?

È un baccano frastornante o un vuoto taciturno?

A me ci è voluto del tempo per apprezzare il mio silenzio, tante volte mi ha fatto paura, spesso ho provato ad allontanarlo.

Col senno di poi, credo che questo fosse solo un tentativo di fuggire da me stessa, dagli scheletri che covavo, paure e ansie che involontariamente si accumulano durante la vita e che vengono fuori puntualmente nei silenzi più profondi, quando è la vita stessa che ti chiama e ti sollecita a fare i conti con le tue ombre più oscure.

Beh, io durante la mia vita, spesso, sono arrivata lunga, se così si può dire… ho indossato delle corazze di forza smagliante, belle luccicanti, giuste per ogni occasione e nel contempo ho accatastato a poco a poco ogni paura, anche la più piccola, nell’angolo più buio della mia stanza, in modo tale da dimenticarmene quanto più rapidamente possibile.

Ma la vita batte sempre cassa. Sempre.

Soprattutto nel silenzio.

E quel suono diventa assordante, martellante, pedante.

Più investiamo il nostro tempo per la comprensione di noi stessi, l’accettazione dei nostri angoli bui, la tolleranza dei nostri disagi spigolosi, più saremo pronti ad amarlo quel silenzio. E ad amarci.

Questo è un periodo fatto di solitudine per alcuni, di lacrime per altri, ed è vero andrà sicuramente tutto bene, ma solo se sfruttiamo al meglio questo suono assordante. Solo se da questo silenzio impariamo finalmente qualcosa. E ci respiriamo sopra. E gli dedichiamo spazio, perché il tempo ce lo hanno già dato: lo abbiamo tanto reclamato che ci è caduto dal cielo senza alcun preavviso.

Occorre dedicargli spazio, consapevolmente.

Spazio nei nostri polmoni, spazio dietro ai nostri occhi, spazio attorno al nostro corpo. Così tanto spazio da amare la nostra stessa compagnia, così tanto spazio da imparare ad amare gli altri in maniera disinteressata, pura.

Occorre respirare per scacciare le paure, è necessario che le lacrime scorrano libere per rendere il peso più lieve, è giusto chiedere aiuto se le corazze non sono abbastanza per fare il loro dovere.

E lasciare andare. Abbandonarsi. Goderselo quel fottutissimo Silenzio.

E finalmente imparare ad amare.

Grazie per aver letto fino a qui, mi auguro di poterci abbracciare presto.