Grazie alla nuova ventata di apparente normalità, ho avuto l’occasione di incontrare e abbracciare persone che non vedevo da una vita, persone che mi hanno fatto notare la mia mancata presenza sui social degli ultimi due mesi e l’attesa di un nuovo articolo sul blog.
Tutto ciò mi ha fatto riflettere.
Sto realizzando, a poco a poco, quanto questo periodo di pandemia sia stato davvero sfidante per ognuno di noi. Sfidante nel bene. Sfidante nel male. Nel bel mezzo di questo trambusto, io ho scelto di rivoluzionare completamente la mia vita.
A inizio anno ho lasciato il mio “posto fisso” da export manager a favore delle mie passioni: l’arte e il coaching.
Questo mio periodo di transizione, di crisi interiore, di cambiamento cruciale è stato un tempo in cui ho scelto di non correre. Ho scelto di dedicarmi interamente alla scrittura nella mia intimità, alla comprensione profonda delle mie paure e delle mie consapevolezze, allo studio approfondito della crescita personale e della psicologia per poter essere di supporto al prossimo. Ho dedicato le mie energie all’attenzione verso la volontà di non ricoprire le aspettative di una società che ci chiede di essere sempre online, al top, informati su: marketing, shooting, graphic, public speaking e su “come aumentare i followers sul tuo profilo insta, faccia, e chi più ne ha più ne metta”.
Ho scelto di non correre, di dedicarmi alle mie nuove competenze, alla mia preparazione professionale con calma, con i miei tempi e, nel frattempo, quando ho rimesso il naso fuori di casa, ho notato che quella sensazione che “tutti stanno correndo” era tornata. Tutti corrono lungo le strade, con lo stesso nervosismo di prima, gli stessi clacson, gli stessi vaffa. E tutti corrono sull’internet, dove ci ubriacano di arrivismo sale e limone.
In questo tempo, io mi sono resa conto che non voglio arrivare da nessuna parte: non voglio competere con nessuno, non voglio una targa che mi faccia sentire più importante, o una macchina di lusso che definisca il mio status sociale. Ho realizzato, con tutta la mia essenza, che voglio usare questa vita per essere di aiuto alle persone, per essere in cerchio, non al centro, non sopra, tra le persone. Quando la chiarezza di questo desiderio si è resa più nitida, qui, nel mio profondo, ho capito che il mezzo che più rispecchia la mia modalità di aiuto è anche quello più antico al mondo: il dialogo.
Vorrei aiutarti a far nascere la tua verità, la tua mappa. Mi piacerebbe che ognuno, in questo mondo di corridori professionisti e bombardamenti di informazioni, trovasse il tempo per la ricerca di sé stesso, scovasse la forza di disegnare il proprio percorso senza influenze altrui.

Non dobbiamo soddisfare per forza le richieste di ciò che ci viene propinato dal contesto, possiamo scegliere di rallentare, ascoltarci e capire quali sono i nostri valori nel profondo, quelle motivazioni che ci fanno alzare la mattina e ci ricaricano di energia. E dobbiamo chiedere aiuto, se sentiamo di averne bisogno.
Non ho nulla contro questo mondo social. Non ho nulla contro l’innovazione. Forse, ciò che mi ha sempre fatto paura è il regresso mascherato di progresso, ciò che ho sempre temuto è l’eccesso. In ogni cosa. In ogni dove. L’eccesso mi ha sempre comunicato, in maniera viscerale, grande incapacità di controllo, ridotta autoefficacia, scarsa consapevolezza della meravigliosa opportunità di vivere in questo mondo.
Non ho nulla contro questo mondo globalizzato, ma rimpiango l’intimità corporea che si viveva in passato. Quell’intimità che ti consentiva di guardare con gli occhi, di toccare con le mani e di non sentire la necessità di verificare cosa fanno gli altri attraverso arnesi terzi. Il pettegolezzo, in passato, era fatto di voci, suoni, parole volanti. Ora è fatto anche di immagini, foto, occhi, porno, video, velocità e cattiveria spiccia che diventa gigante, e ancora più gigante, e ancora di più.
Anche il bisogno di libertà, un tempo, era fatto di corpo. Ora, pure il bisogno di libertà è diventato tecnologico. Sembra che se non siamo più collegati, rischiamo di perdere la possibilità di trovare un nostro posto nel mondo, perché il mondo va veloce e ci hanno insegnato che il treno non passa due volte. E chissà, se alla fine, esistiamo davvero. Chissà se è meglio salire su un treno che sfreccia ad una velocità tale da non farci gustare il panorama, insieme a passeggeri che hanno volti incollati agli schermi, o restare a terra e camminare secondo il nostro ritmo. E abbracciare. E parlare. E osservare. E odorare. Sembra che questa società non ci dedichi un attimo per restare offline, nel nostro down, in quel maledetto under-ground. Sembra che questo presente non concepisca la felicità a-social, perché pare troppo a-typical.

Ho cambiato completamente professione, ho colorato di nuove sfaccettature la mia identità e, nonostante la mia attuale passione verso la lentezza, il contesto in cui vivo mi ha obbligato a chiedermi:” Chissà se sono in ritardo, chissà se sono sul pezzo? Chissà se tengo il passo? Chissà se il modo in cui comunico è quello giusto? “
Onestamente, credo ci siano due tipologie di risposte: quella che ti arriva dall’esterno e quella che ti viene suggerita dall’interno.
Se osservo i runners esterni a me, dovrei essere molto più veloce, attiva, reattiva. Se ascolto la mia voce interiore, sento che, in questo periodo, ho bisogno di procedere a piccoli passi, cercando di rimanere sempre fedele a me stessa. E allora, la vera domanda è: ” Sono in ritardo rispetto a chi o a che cosa? Sono veloce rispetto a chi o a che cosa? Corri per chi? ”
Non c’è nulla di sbagliato nell’utilizzo di uno strumento, purché questo strumento rispecchi completamente ciò che sei nel profondo e non ciò che gli altri vogliono che tu sia. Non c’è nulla di sbagliato nella corsa, purché tu abbia fame di correre. Non c’è nulla di sbagliato in ciò che fanno gli altri, purché non confonda la tua impronta in questo mondo.
La tua è l’unica verità che conta. La tua è l’unica voce che può indicarti la via.
Grazie a tutte quelle persone che mi hanno incontrato casualmente, grazie alle parole che mi avete dedicato, anche con un messaggio: avete sbloccato in me queste di parole, flussi che necessitavano di una stesura appropriata al fine di essere di aiuto a chi si sente che non ha sempre voglia di correre, arrivare, dimostrare. A chi si sente differente, strano e magari anche solo. A chi si sente che il paesaggio è splendido e che camminarci dentro vale davvero la pena. A chi prova caos, dentro: abbiate fede, è solo disordine interiore che troverà ordine. Datevi tempo, datevi spazio e parlatene del vostro caos, scrivetelo, disegnatelo. Solo così riconoscerete la sua forma nella vostra mente. Solo così potrete abbracciarlo e danzare con lui.
Ascoltate la vostra voce. Vivete la vostra verità.
E ricordatevi: in questa danza, non siete soli.